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Fiore del Risveglio

L'incontro con il Maestro: la storia di Rachele

Ho trascorso l’infanzia alle prese con la ginnastica correttiva a causa di una brutta scoliosi. Poi a 16 anni, un medico illuminato, ha suggerito ai miei genitori di mantenere i risultati con lo Yoga.

La proposta era insolita, vivevo in un piccolo centro alle porte di Milano ed era l’inizio degli anni ’80.  Non sapevo esattamente cosa fosse lo yoga, ma con sorpresa trovare un corso fu semplice.  
Da allora nella mia vita molte cose sono cambiate, alcune radicalmente, ma lo yoga è rimasto.

Nel tempo ho sperimentato molti stili, ho incontrato vari maestri e a ciascuno va la mia gratitudine.
Lo yoga nella sua globalità è una ricerca infinita, per questo alcuni elementi sono più evidenti in un insegnamento, altri in un altro.

L’atteggiamento che suggerisce lo yoga è di affinare la disponibilità ad ampliare le nostre prospettive con la consapevolezza che siamo sempre principianti.

L’incontro significativo però è stato con Aurelia Debenedetti.
Aurelia mi ha trasmesso lo yoga come scienza universale, da insegnare attraverso i principi di base che nascono dal cuore delle filosofie.

Ancora oggi seguo con devozione Aurelia, grazie al suo intervento ho avuto l’opportunità di conoscere e seguire il suo maestro: Sri Acharya T.K. Sribhashyam.

Nella tradizione indiana l’insegnamento viene tramandato di padre in figlio.

La famiglia di appartenenza di Sri T.K. Sribhashyam è di filosofi e medici specializzati in Ayurveda che da innumerevoli generazioni trasmette la conoscenza attraverso l’insegnamento.

Sri T. Krishnamacharya, il padre di Sri T.K. Sribhashyam, sin dalla più tenera infanzia,  ha educato il figlio secondo questo principio. 

Sri T.K. Sribhashym ha vissuto per molti anni in Europa, tuttavia insegnava fedelmente, come fece suo padre prima di lui, ed è riuscito a mantenere il suo insegnamento tradizionale anche nel contesto occidentale.

Il mio primo incontro con il maestro risale alla primavera del 2007.

Da quel seminario è nato un gruppo di studio, per cui due volte all’anno per oltre 10 anni, fino alla scomparsa del maestro, ci siamo incontrati a Torino.

Oltre agli approfondimenti filosofici di Yoga Sutra e Bhagavad Gita, nella pratica tradizionale il mastro guidava la sessione nel silenzio, indicando solo i nomi delle posture e le relative respirazioni.

Inizialmente ho riscontrato qualche difficoltà, perdevo facilmente il conteggio dei respiri.
Poi ho colto il senso, contare era un modo per mantenere i pensieri su un piano astratto e mi è stato utile per imparare a disciplinare la mente, rinunciando alle distrazioni.

Nel primo incontro a Sanremo il maestro parlò di Pranayama e Mudra, due elementi fondamentali nella pratica.

Il pranayama è all’inizio e alla fine di ogni seduta tradizionale, mentre le mudra sono posture in cui il corpo assume una forma precisa, il respiro è modificato secondo un pranayama, è inclusa una ritenzione del respiro e c’è un preciso orientamento dello sguardo.

Il rigore applicato nelle Mudra consente di mantenere la mente concentrata e di disattivare il disordine emozionale.

 

Personalmente ho sempre apprezzato le sessioni di pranayama che nella mia pratica personale, o nella proposta rivolta ad altri, non manca mai

L’insegnamento del maestro è stato particolarmente illuminante quando ha affrontato  Yoga Sutra e Bhagavad Gita.

Mi colpiva la chiarezza con cui esponeva gli argomenti, il punto di vista e le chiavi di lettura che rendevano semplici argomenti tutt’altro che facili.

Ho apprezzato la delicatezza con cui ha affrontato argomenti impegnativi, il maestro parlava dei valori spirituali fondamentali per la sua cultura, ma che hanno un valore universale e venivano approcciati con il massimo rispetto nei riguardi della nostra cultura. Ci ha suggerito una via per cercare un valore autentico che ci porti verso la consapevolezza della nostra natura trascendente, senza imposizioni o false illusioni.

Il rapporto con Sri T.K. Sribhashym è maturato nel tempo, ci sono state molte difficoltà soprattutto iniziali.

 Per lungo tempo la nostra condotta ha messo in evidenza le nostre costruzioni mentali, il nostro ego, le nostre abitudini che difficilmente conciliavano con l’atteggiamento richiesto quando si è  di fronte al maestro indiano.

Ora comprendo che il rigore della sua persona e del suo modo di insegnare rifletteva la responsabilità di trasmettere in modo fedele un insegnamento che onorasse tutti i grandi maestri che lo hanno preceduto ed è la forza che consente di tramandare l’insegnamento nel tempo.

 

Grazie a questa fedeltà di trasmissione lo yoga ha varcato i millenni!

UN ARTICOLO DI : RACHELE BRAMBILLA

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